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  • Immagine del redattoreMangiare in Viaggio

Le Grand Café Capucines - Paris

Aggiornamento: 27 apr 2020

La prima volta che ci misi piede ero piccolo. Ero un bambino. Avrò avuto 12 anni. Non ricordo molto, ovviamente. Ricordo che i miei genitori c'erano già stati una volta e, quasi sentendosi in colpa per aver assaporato un momento d'intimità più che mai sacrosanto, subito dopo decisero di portare anche noi.

Tutti assieme, in famiglia, fummo catapultati in una cornice regale, fatta di cura per l'ospite, professionalità e cortesia. Quella cortesia che da un ristorante di Parigi, quando sei negli anni '90, non ti aspetti.

I primi sentori di una maniera impeccabile, in realtà, li avevo avuti quella volta che, all'esito di una cena tête-a-tête, i miei genitori ci portarono due mazzi di carte con l'effige del ristorante che a loro furono donati dal personale di sala, proprio affinché ci venissero portati come souvenir.

Non ricordo – o, forse, ricordo poco o niente – di quella prima volta del Grand Cafe Capucines. Ebbi modo di tornarci, però, negli anni a seguire, per cui via via mi si dipingevano indelebilmente le trame di quella cornice sontuosa.

Ricordo, oggi, la magnificenza del posto, i colori eleganti, i lumi in stile Belle Epoque, gli ottoni che ornavano tutta la sala. Ricordo l'eleganza del personale, i velluti nei divanetti, i tappeti che foderavano i pavimenti.

Tutto è rimasto immutato per tanti anni, fino all'anno scorso. Tutto così elegante, così magnificente.

E, così, quando capitava, via via nel corso degli anni, di rimetterci piede, era sempre un ritrovarsi lì, in famiglia, coccolati da tutti.



Lì ho mangiato i miei primi plateau e lì ho preso gusto per la bontà dei frutti di mare. Quasi un paradosso, per chi viene dalla Sardegna. Ma la Francia, si sa, ha sempre saputo vendere le sue primizie. Non ho molte foto dell'epoca. L'unica che mi ritrovo – che mi ritrae alle prese con un plateau – risale all'estate del 2006. Son passati quasi quattordici anni. Non è cambiata la poesia del luogo.

rdo di quell'epoca è la carta menu – che vedete in foto – che ci fu donata per ricordo del ristorante. Un'opera d'arte in stile. I prezzi ancora espressi in franchi, gli splendidi ricami ed i bellissimi disegni di dame.



Altro ricordo di quell'epoca è la carta menu – che vedete in foto – che ci fu donata per ricordo del ristorante. Un'opera d'arte in stile. I prezzi ancora espressi in franchi, gli splendidi ricami ed i bellissimi disegni di dame.



Ecco, quello era – ed è – lo stile del Grand Cafe Capucines. Stile immutato anche all'indomani del profondo restyling avvenuto nel 2019 che ha travolto gli interni, risucchiando paralumi, velluti, ottoni, il rosso ed il legno che dominavano ogni anfratto del locale.

Oggi – ci sono stato a novembre dell'anno scorso – tutto è luce, secondo un nuovo design che, per quanto frutto di un concept ben studiato a tavolino, non contribuisce a rendere la giusta gloria sfarzosa dei tempi che furono e che faceva piacere ritrovare sempre lì, immutati.

Quel tuffo nel passato è svanito, come paiono definitivamente scomparse le figure che un tempo – siamo alla fine del 1800 – amavano frequentare il ristorante a ridosso degli spettacoli rappresentati nel coevo teatro de l'Opera Garnier.



Oggi, però, ad un occhio più cauto, restano i ricordi di ciò che fu e che forse tornerà, anche se corroso dalla necessità di seguire il futuro che incombe e che spinge anche al di là di dove si dovrebbe andare. Così, resta la scalinata che porta alle toilettes. E restano anche le stesse sale da bagno, sostanzialmente immutate. Resta la qualità del servizio: attento ed impeccabile, come se nulla fosse cambiato.



Resta, in definitiva, la bontà e freschezza della materia prima. La velocità e precisione nel servire un plateau spaziale (che, oggi, identifica la mia pagina Mangiare in Viaggio ed il mio sito), l'attenzione al commensale. Come se quei muri – oggi così bianchi, così moderni e luminosi – potessero ancora sussurrare consigli al personale, dare direttive, narrare gli echi di una storia che permeava – e permea ancora – tutto: il locale, il personale, gli ospiti, gli stessi Grands Boulevards.


 
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